K2-18b: c’è vita nell’universo (forse)

C’è un pianeta là fuori, a 124 anni luce da noi, che sta facendo parlare tutta la comunità scientifica e non solo. Si chiama K2-18b, e no, non è il nome di una stazione spaziale in un film di fantascienza, ma di un esopianeta che potrebbe – ed è d’obbligo il condizionale – ospitare forme di vita.

Non siamo nuovi a titoli sensazionalistici tipo “trovato un altro mondo abitabile”, ma stavolta le prove iniziano davvero a diventare interessanti. Scoperto nel 2015 grazie al telescopio Kepler, K2-18b orbita attorno a una nana rossa nella costellazione del Leone. È grande, molto più della Terra – circa 2,6 volte il nostro pianeta in termini di raggio – e ha una massa otto volte superiore. Ma la cosa che ha acceso i riflettori su questo lontanissimo pianeta è che si trova nella cosiddetta “zona abitabile” della sua stella, ovvero quella fascia in cui la temperatura sulla superficie è perfetta perché ci possa essere acqua nello stato liquido. Ed è proprio l’acqua – o meglio, l’atmosfera – che ha iniziato a raccontarci una storia diversa dal solito.

Nel 2023 il telescopio spaziale James Webb ha fatto un’osservazione che ha attirato l’attenzione della comunità scientifica: ha rilevato metano e anidride carbonica nell’atmosfera di K2-18b. Due gas che, sulla Terra, associamo sia a processi geologici che biologici. Ma c’è di più: le recentissime analisi del 2025 hanno rilevato segnali di dimetil solfuro (DMS) e dimetil disolfuro (DMDS), due composti che sulla Terra derivano quasi esclusivamente da organismi viventi, in particolare dal fitoplancton marino. Ok, calma: non stiamo dicendo che questo garantisca la presenza di vita aliena, però queste molecole sono difficili da spiegare se non si tira in ballo qualche forma di attività biologica. In poche parole, è come se il K2-18b ci stesse sussurrando qualcosa, un messaggio ancora tutto da decifrare.

Gli scienziati lo definiscono un pianeta “hycean” (dall’unione delle due parole “hydrogen” (idrogeno) e “ocean” (oceano)): una classe teorica di mondi coperti da oceani sotto un’atmosfera ricca di idrogeno. L’idea è che in questi ambienti, pur molto diversi da quello terrestre, possano svilupparsi forme di vita. Magari non camminano, non parlano e non costruiscono razzi, ma potrebbero esistere a livello microscopico, come accade nelle profondità oceaniche della Terra, dove la vita prospera anche in condizioni estreme.

Ovviamente serve cautela. La presenza di DMS o DMDS potrebbe, in teoria, avere un’origine non biologica, e confermare queste rilevazioni richiederà tempo e strumenti ancora più precisi. Ma è la prima volta che ci avviciniamo così tanto a qualcosa che somiglia davvero a una “firma biologica” su un altro pianeta. Per ora, K2-18b è come un indizio lasciato nell’universo, una traccia che ci invita a guardare meglio, a non fermarci. È un invito a continuare la ricerca, a espandere i nostri orizzonti, e forse – un giorno – a trovare la risposta alla domanda che ci accompagna da sempre: siamo davvero soli nell’Universo?

Questo è solo l’inizio di un viaggio molto più grande.

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