Groenlandia: un’isola strategica

Immaginate un’isola così vasta da poter contenere mezza Europa, ma quasi interamente coperta da una calotta di ghiaccio spessa chilometri. Un luogo di bellezza estrema, silenzi assordanti e una storia millenaria scritta da popoli resilienti e plasmata da forze naturali imponenti. Questa è la Groenlandia (Kalaallit Nunaat in lingua locale), terra di contrasti e, oggi più che mai, al centro di interessi globali.

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Quando pensiamo alla Groenlandia, la prima immagine è probabilmente quella di un’immensa distesa bianca. Ed è vero: circa l’80% del suo territorio è ricoperto dalla seconda calotta glaciale più grande del pianeta, dopo quella antartica. Ma sotto e attorno a quel ghiaccio, pulsa una storia lunga e complessa, fatta di migrazioni, adattamenti incredibili e incontri tra culture.

I primi abitanti: gli autentici pionieri dell’Artico

La storia umana della Groenlandia inizia relativamente tardi rispetto ad altre parti del mondo, circa 4.500 anni fa. I primi ad avventurarsi in queste terre inospitali furono gruppi di Paleo-Eschimesi provenienti dal Nord America. Culture come i Saqqaq e i Dorset (nomi derivati dai siti archeologici dove sono stati ritrovati i loro resti) furono maestri dell’adattamento, cacciando foche, trichechi e caribù con strumenti sofisticati in pietra e osso. Queste prime ondate migratorie, però, sembrano essersi estinte o aver lasciato l’isola, forse a causa dei ciclici cambiamenti climatici dell’Artico.

Intorno all’anno 1000 d.C., arrivò un’altra ondata migratoria, quella del popolo Thule, diretti antenati degli attuali Inuit groenlandesi. Più avanzati tecnologicamente rispetto ai Dorset (utilizzavano slitte trainate da cani, arpioni più efficaci per la caccia alle balene, e vivevano in comunità più strutturate), i Thule si diffusero lungo le coste, stabilendo le basi della cultura Inuit che conosciamo oggi.

I Vichinghi: una parentesi “verde”

Vichinghi Groenlandia

Quasi contemporaneamente all’arrivo dei Thule, un altro popolo mise piede in Groenlandia: i Norreni, meglio conosciuti come Vichinghi. Guidati dal celebre Erik il Rosso, esiliato dall’Islanda intorno al 982 d.C., stabilirono insediamenti lungo le coste sud-occidentali, nelle aree più “miti” (per modo di dire!). Fu proprio Erik a battezzare l’isola “Grønland” (Terra Verde), un nome che oggi suona quasi ironico, ma che all’epoca, forse complice un periodo climatico leggermente più caldo (il cosiddetto Periodo Caldo Medievale) e una buona dose di “marketing” per attirare coloni, doveva descrivere i fiordi interni relativamente verdi d’estate.

I Norreni prosperarono per circa 400-500 anni, allevando bestiame, cacciando e commerciando avorio di tricheco con l’Europa. Costruirono chiese, svilupparono una società organizzata con un proprio vescovado, ma poi, misteriosamente, scomparvero tra il XIV e il XV secolo. Le cause? Probabilmente un mix letale: il peggioramento del clima (la Piccola Era Glaciale), la fine del commercio con l’Europa (colpita dalla peste e da altri problemi), possibili conflitti con i Thule in espansione e un modello agricolo forse non più sostenibile in quelle condizioni. Il loro destino rimane uno degli affascinanti misteri della storia artica.

L’era danese e la strada verso l’autonomia

Dopo secoli di oblio europeo, la Groenlandia tornò nei radar nel XVIII secolo. Nel 1721, il missionario luterano danese-norvegese Hans Egede arrivò sull’isola con l’intento (vano) di ritrovare i discendenti dei Norreni e convertirli. Trovò invece gli Inuit, con cui stabilì relazioni e iniziò l’opera di evangelizzazione. Questo segnò l’inizio della colonizzazione danese. Per i successivi due secoli, la Danimarca amministrò la Groenlandia come una colonia, gestendo il commercio (principalmente pelli e olio di balena) e introducendo gradualmente strutture amministrative e sanitarie moderne.

La Seconda Guerra Mondiale fu un punto di svolta. Con la Danimarca occupata dalla Germania nazista, la Groenlandia si trovò isolata. Gli Stati Uniti, riconoscendone l’importanza strategica (posizione chiave per le rotte aeree e navali atlantiche e per il monitoraggio meteorologico), ne assunsero la protezione, costruendo basi militari (alcune ancora operative, come Thule/Pituffik). Questo periodo rafforzò i legami con il Nord America e instillò un nuovo senso di identità e potenzialità nell’isola.

Nel dopoguerra, lo status della Groenlandia cambiò: nel 1953 cessò di essere una colonia e divenne una contea della Danimarca. Tuttavia, cresceva nella popolazione Inuit il desiderio di una maggiore autonomia. Questo portò prima all’ottenimento dell’ Home Rule (autogoverno) nel 1979, che trasferì molte competenze da Copenaghen a Nuuk (la capitale groenlandese), e poi al Self-Government (autogoverno rafforzato) nel 2009. Oggi, la Groenlandia gestisce quasi tutte le sue questioni interne, incluse le risorse naturali, mentre la Danimarca mantiene la responsabilità per la politica estera, la difesa e la politica monetaria, oltre a fornire un cospicuo sussidio annuale.

Perché Trump voleva “comprare” la Groenlandia?

Nel 2019, il mondo rimase sorpreso (e Copenaghen e Nuuk reagirono con fermezza e un pizzico di incredulità) quando l’allora presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, manifestò l’interesse ad acquistare la Groenlandia dalla Danimarca. Al di là dell’apparente bizzarria della proposta (che riecheggiava un tentativo simile fatto dal presidente Truman nel 1946), le motivazioni sottostanti erano profondamente radicate in considerazioni geopolitiche ed economiche molto attuali. Principalmente, l’interesse USA si concentrava su tre aspetti:

  1. Posizione Strategica: La Groenlandia occupa una posizione cruciale nell’Artico, una regione sempre più navigabile e contesa a causa dello scioglimento dei ghiacci. Controllare l’isola significherebbe per gli USA rafforzare la propria presenza militare e di sorveglianza in un’area strategicamente vitale, vicina alla Russia e alle nuove rotte marittime settentrionali. La base aerea di Thule è già un asset fondamentale per la difesa missilistica e il controllo spaziale statunitense.
  2. Risorse Naturali: Il sottosuolo groenlandese è ricco di risorse minerarie, tra cui terre rare (fondamentali per l’industria tecnologica e militare), uranio, zinco, ferro, ma potenzialmente anche petrolio e gas. Lo scioglimento dei ghiacci, conseguenza del cambiamento climatico, sta rendendo queste risorse potenzialmente più accessibili, attirando l’interesse non solo degli USA ma anche di altre potenze come la Cina. Possedere l’isola significherebbe avere accesso diretto a questi “tesori nascosti”.
  3. Influenza Geopolitica: L’acquisto avrebbe proiettato un’immagine di forza e accresciuto l’influenza americana nello scacchiere artico, contrastando le ambizioni di Russia e Cina nella regione.

La proposta, ovviamente, fu respinta seccamente sia dal governo danese che da quello groenlandese, che sottolinearono come la Groenlandia “non fosse in vendita” e come il suo futuro dovesse essere deciso dal suo popolo. L’episodio, però, ha acceso i riflettori sull’importanza crescente dell’isola nel panorama globale.

Il futuro di un’isola: tra sfide e opportunità

Oggi la Groenlandia si trova a un crocevia. Da un lato, affronta le sfide enormi del cambiamento climatico, che sta trasformando il suo paesaggio e minacciando lo stile di vita tradizionale basato sulla caccia e la pesca. Dall’altro, lo stesso scioglimento dei ghiacci apre nuove prospettive economiche legate alle risorse naturali e al turismo, e ne aumenta il peso geopolitico. Il dibattito sull’indipendenza totale dalla Danimarca è vivo, anche se complesso, data la dipendenza economica dai sussidi danesi.

La storia della Groenlandia è una testimonianza incredibile di resilienza umana e adattamento ambientale. Da terra di cacciatori preistorici a colonia vichinga, da avamposto danese a nazione autonoma proiettata nel futuro, Kalaallit Nunaat continua ad affascinare e a giocare un ruolo sempre più centrale nelle dinamiche del nostro pianeta. Una storia scritta nel ghiaccio, ma tutt’altro che immobile.

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